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Immagine del redattoreMonica Cillario

Rino Barillari, semplicemente "The King"

Riuscire ad intervistare Rino Barillari non è impresa semplice, non che lui non sia disponibile, anzi, ma è in continuo movimento, sempre a caccia di scoop e va rincorso, esattamente come i personaggi che immortala in foto che da anni fanno il giro del mondo.

Sia in Italia che all’estero è conosciuto come “The King” e re lo è davvero: è il re dei paparazzi.

Il termine nacque con un’accezione non molto favorevole e nell’immaginario collettivo rimanda subito al fotografo della Dolce Vita di Fellini, incarnato da Walter Santesso e che nella finzione fotografica si chiamava Coriolano Paparazzo.

I nomi hanno un destino, lo sapeva bene Ennio Flaiano, il quale divenne matto prima di trovare quello adatto al personaggio felliniano, però i destini si possono anche cambiare, Barillari da anni si batte per dare dignità alla figura del paparazzo e lo fa comportandosi lui stesso, in prima persona, da vero fotogiornalista: attento, bravissimo negli scatti, magari anche un po’ provocatore, ma sempre fondamentalmente rispettoso del personaggio che fotografa.

Il suo modo di fare, nel corso degli anni lo ha reso apprezzato e stimato: per strada la gente non lo scaccia, anzi, tutti lo conoscono e lo salutano con affetto e simpatia, perché di fatto è un uomo gentile, un gentlemen con la macchina fotografica sempre pronta.

OD: Avresti mai immaginato, quando hai iniziato, che un giorno ci sarebbe stata gente che sarebbe venuta a cercare te per fotografarti e farti delle interviste? Insomma, che un giorno avrebbero paparazzato te?

RB: Assolutamente no, e ti dirò di più, se io avessi tutto il materiale che ho raccolto negli anni, beh, posso dirti una cosa? Oggi veramente ci sarebbe stato il colpo di Stato. Perché vedi, all’epoca c’era un’altra cultura, i giornali erano diversi, il materiale era diverso, lo mettevi dentro le buste, lo sviluppavi e lo fissavi poco per sbrigarti, perciò molte foto son diventate tutte gialle: due anni fa ho scoperto che a dir poco un ventimila negativi che avevo dentro casa, con l’aria condizionata, si sono tutti rovinati.

OD: Ma che effetto ti fa che le cose siano cambiate così tanto, che ora i giornalisti vengano a intervistarti? Ti inorgoglisce o non ti importa nulla?

RB: Non mi fa né caldo né freddo perché faccio lo stesso lavoro come prima, non me ne frega niente, anzi, metto più abilità di prima, solo con un gusto differente per non fare uno scatto che sia una foto cartolina, perché sai, io posso fotografare anche questo palazzo, ma poi a chi interessa? Devi trovare una situazione, un contesto, devi far sì che ad esempio la gente guarda una persona e vede il palazzo, oppure che so, un controluce, o un particolare: quello che voglio dire è che comunque la foto si fa con la testa, non si può andar col telefonino e via scatti a raffica, non va bene così.

OD: A proposito di telefonino, tu faresti mai una foto con il cellulare?

RB: In caso di emergenza, ad esempio se ci fosse un attacco terroristico o un suicidio, o un delitto, o una situazione in cui se tu usi la macchina fotografica capiscono che sei un professionista e allora addio scoop, beh, in casi così allora sì, perché no?

OD: In realtà ti ho fatto questa domanda per arrivare a domandarti, dal momento che hai appena detto che la fotografia si fa con la testa, quanto conta la macchina e quanto conta chi fotografa?

RB: Conta chi sta sul posto, conta se la foto è esclusiva, perché in quel caso anche se è mossa o sfocata non importa, basta l’immagine; se c’è l’esclusiva va bene anche il telefonino, anzi, più brutta è meglio è.

OD: Più brutta è meglio è?

RB: E’ chiaro, perché ce l’hai soltanto tu, come hai fatto a farla? Hai rischiato. Se tu gli dai una foto troppo bella, perfetta, da cinema, ma chi ci crede? E’ squallida, è montata. Pensa che io da ragazzino facevo le foto mosse apposta.

OD: Ecco, parliamo di come hai cominciato. Dicono che a 14 anni sei venuto a Roma, ma come ti è venuto in mente di iniziare a fotografare?

RB: Di sicuro non ho fatto un corso di fotografia. Come tutti i ragazzi a quell’età e a quei tempi, ognuno cercava un lavoro: chi trovava a fare il cameriere, chi trovava a fare il parcheggiatore, chi trovava a fare il pizzicarolo…

OD: E com’è che tu hai trovato la fotografia?

RB: A Fontana di Trevi, tutto è cominciato lì, conoscendo gli “scattini,”; una volta non c’era la Polaroid, qualsiasi famiglia, o coppia di fidanzati, quando andava in una città si faceva la foto ricordo a San Pietro, o al Colosseo, o a Fontana di Trevi. Si chiamavano foto souvenir, era così pure a Venezia o a Pisa. Chi aveva la macchina fotografica all’epoca? Poca gente, chi aveva i soldi ok, ma un turista normale non ce l’aveva e con 50 massimo 150 lire, si faceva fare una foto, così aveva un bel ricordo mentre stava con la fidanzata o con la famiglia davanti a un monumento. Lo stesso valeva per i turisti americani, perciò io stavo davanti a Fontana di Trevi, là c’erano i fotografi che facevano i turni e avevano tanto lavoro perché tutti volevano le foto, però serviva qualcuno che scansasse le persone per avere una foto pulita, senza gente dietro, perciò io aiutavo questi scattini (erano chiamati così perché scattavano e basta e là son nati tutti eh, mica hanno fatto il corso all’Università… non c’era). Ho cominciato a farmeli amici e portavo anche le buste delle fotografie: loro facevano le foto, segnavano il numero degli scatti e il formato e la cifra, poi si scrivevano il nome dell’albergo in cui i turisti alloggiavano, davano la ricevuta e la sera qualcuno andava a portare le foto ai turisti e quel qualcuno ero io. Dopo due o tre mesi hanno visto che ero sveglio, mi hanno dato una macchina fotografia: era facilissimo, bastava scattare e così ho cominciato. Poi, piano piano, ho cambiato personaggi, anche perché mi sono spostato verso via Veneto, Piazza di Spagna, Piazza del Popolo. Ero ragazzino e stavo in mezzo agli altri, più grandi di me, però facendo sempre l’imbecille, mai l’intelligente, perché se mostravo d’essere intelligente erano un po’ gelosi e allora io facevo quello che cascava sempre dalle nuvole e chiedevo, chiedevo, chiedevo -anche cinque o sei volte la stessa cosa- così loro erano contenti che tu fossi stupido e ti aiutavano, tutti. Dopo ho imparato lo sviluppo a mano delle foto, come si asciugavano i negativi, insomma ho voluto conoscere davvero come si fa seriamente questo mestiere.

OD: A proposito di aiuti, quanto ti è stato utile conoscere e frequentare un fotografo come Marcello Geppetti?

RB: Moltissimo. Con Marcello si girava assieme, io andavo avanti a scontrarmi col personaggio e lui faceva delle foto: lui ha diversi scatti di me mentre provoco. Devi capire che quando tu hai un personaggio e fai semplicemente una foto, che ci fai? La foto da sola non basta, serve una storia e la trovata era proprio la provocazione, anzi, ad essere precisi si chiama provocation. Il personaggio diceva di no e tu scattavi, lui si arrabbiava, tu continuavi a scattare: quattro o cinque foto ed ecco che avevi fatto il servizio.

OD: Quindi sei un grande provocatore…

RB: No, non è solo questo. Scusa, immagina: vedi Richard Burton con Liz Taylor, fai loro una foto nel locale, ma che ci fai con una foto così? Poco o niente. Serve qualcosa per cui lui dica “non disturbarmi please”, tu continui, lui si adira, magari prende una bottiglia, te la tira e tu zac, scatti.

OD: Quello che mi hai appena raccontato accadeva all’epoca della Dolce Vita, ma adesso è ancora così?

RB:No, adesso stanno tutti con le guardie del corpo, quel tipo di provocation è diventata pressoché impossibile; oggi devi entrare nella loro vita senza che loro se ne accorgano e per me è furto, perché il personaggio non reagisce, non sa di essere fotografato, invece quando tu stai a quattro metri, scatti e ti vedono, tu hai la reazione della persona che fotografi, e il personaggio lo deve sapere, altrimenti, ti ripeto, è furto e in più non c’è storia. A volte questo mio modo di voler scattare ha portato a botte da orbi, a macchine fotografiche fracassate, casino, denunce… ma chi se ne frega, perché almeno vedi la persona, questo è importante: una reazione, se no la foto è piattume.

OD: Quindi sei ancora convinto della tua frase di battaglia “la guerra è guerra”?

RB: Forever! Quando tu vai appresso a un personaggio che fa le stesse cose, mi dici tu con quelle foto che ci fai? Ci vuole la storia! Altrimenti sono solo scatti.

OD: Il tuo primo servizio importante, quello che ti ha fatto svoltare, qual è stato?

RB:E’ stata Irma Capece Minutolo, che era un’amica di Marcello Geppetti: delle foto carine e belle di lei, scatti che ho venduto e che mi hanno fatto capire che era un lavoro da fare. Inizialmente mi accontentavo, perché stando sempre in giro, vendevo i negativi: facevo un personaggio internazionale e andavo per esempio alla Associated Press o all’Ansa, lì sviluppavano il rullino, sceglievano il negativo e mi pagavano subito: 1500, 2500, 750 lire, a seconda se era un servizio solo per l’estero o solo per l’Italia e io quei soldi che mi davano li investivo per lavorare.

OD: La tua macchina fotografica?

RB: Ne ho tante, con tutte quelle che ho sfasciato.

OD: Ma ce n’è una che preferisci usare?

RB: Son tutte uguali, il problema è che mancano i personaggi, le storie vere, non le storie inventate; è un mondo cambiato, c’è un altro tipo di mentalità, ci sono personaggi che non rimangono nella storia perché in realtà non sono dei personaggi; durano al massimo tre stagioni e sono dei tormentoni: il tormentone della Romina Power, della Lecciso, della Belén.

Personaggi televisivi che gli italiani amano e tutti vogliono sapere cosa fanno, ma, ripeto, non sono storie, sono solo tormentoni.

OD: Ti interessano i personaggi internazionali allora. Ma ci sono ancora?

RB: Ci sono, qualcuno viene qui per turismo è l’abilità è darne la notizia.

OD: La tua prima foto te la ricordi?

RB: A Fontana di Trevi: un signore con un canotto voleva le foto ma non aveva il fotografo e mi chiese di fotografarlo, io lo feci, gli consegnai il rullino e non so quanti dollari mi diede. Quella era una bella epoca: la notte in via Veneto per mangiare non c’erano problemi perché i tramezzini che i bar buttavano me li mangiavo io insieme agli altri colleghi e insomma, si sbarcava il lunario, oggi no, oggi è tutto diverso.

OD: Se oggi viene da te un ragazzo e dice che vuole fare il tuo lavoro, tu cosa gli rispondi?

RB: Intanto bisogna trovare non qualcuno che voglia fare il fotografo ma qualcuno che abbia voglia di lavorare, che è diverso. In che senso è diverso? Te lo spiego subito: devi trovare uno che non ha una famiglia, non ha moglie, non ha fidanzata, deve essere disponibile sempre; se sei disponibile 24 ore su 24 ti fai subito degli amici perché se chiamano me e io non rispondo, chiamano te, tu vai a lavorare, vedono che sei bravo e continui, ma se dici “no oggi è sabato, devo accompagnare mia madre al Verano, ah domenica no perché ho la fidanzata o la moglie o i figli…”

OD: Infatti i fotografi della tua generazione erano famosi per essere senza famiglia, non riuscivate a farvene una.

RB: Ma pure adesso è così.

OD: Ma se arrivasse una ragazza o un ragazzo e ti dicesse “io vorrei fare il tuo mestiere”, tu oggi come oggi glielo consiglieresti?

RB: Intanto devi avere una buona cultura generale, devi sapere l’inglese, devi capirne di giornalismo perché la foto è una foto giornalistica; se non studi quel settore non è che tu scatti e sei un fotogiornalista, non esiste al mondo. E’ pieno di surrogati che guadagnano anche 1,50 euro a scatto… mi dici cosa vuol dire 1,50 euro o 80 centesimi? E’ il fallimento di una professione, non mia, ma loro.

OD: Sì, ma tu pensi che ci sia ancora un futuro nella tua professione?

RB: Ah, intanto oggi secondo me la macchina fotografica non basta più, si deve fare anche il filmato dal quale poi prendi delle foto.

OD: Te la sentiresti allora di non tagliare le gambe a uno che vuole seguire la tua strada?

RB: No, no, non taglio le gambe però devono uscir fuori i mostri della fotografia e non quello che c’è in giro ora, se non ci sarà un cambiamento nella fotografia, si andrà a finire sempre peggio.

OD: Secondo te ci sarà una nuova generazione nel tuo settore o no?

RB: La generazione la fa la politica, non la faccio io. Ti ricordi prima? Berlusconi qui, Berlusconi là, scandali, donne, adesso non se ne parla quasi più. Perché? Perché serviva per colpire un politico. Ho citato Berlusconi perché è l’esempio più eclatante, ma è un fatto trasversale: destra, sinistra è lo stesso, dipende chi la politica desidera colpire in un determinato momento.

OD: A proposito di colpire: Corona ha rovinato la professione?

RB: A me non mi ha rovinato però sì, ha rovinato quel giro di ricattatori, ma di questo si trattava, di ricattatori, non di fotografi.

Io posso decidere di regalarti la foto o di non pubblicarla, ma non ti chiedo dei soldi, però tu quando mi vedi per strada mi saluti, non mi tiri la roba addosso. E’ una scelta di vita, tutti possiamo campare, tutti possiamo far questo lavoro, però dipende come lo si fa. Comunque questo lavoro è finito. Se a un giovane piace e ha i soldi e lo fa per hobby, allora non c’è problema, ma in linea generale è finito.

OD: Quindi sconsiglieresti di iniziare il tuo lavoro ai giovani che si affacciano al mestiere?

RB: Guarda, innanzitutto devi avere una vocazione fotografica è quella o ce l’hai o non ce l’hai, devi saper capire cosa succede prima che il fatto succeda, quelli riescono, gli altri che fotografano alla prima di un film o in Rai o sono il figlio del direttore tal dei tali, ecco, tutta quella roba lì non è più essere fotografo.

OD: Te lo ridomando perché non mi è chiaro: possiamo sperare di avere degli eredi della vostra scuola sì o no?

RB: Io penso di sì, anche molto più bravi, perché noi abbiamo fatto un tracciato e gli altri devono seguirlo facendo le stesse cose ma con un gusto diverso, più attuale, con un altro tipo di mentalità, ma devi nascere fotografo.

OD: Fotografo si nasce o si diventa?

RB: Si nasce, non si diventa. E tra l’altro si diventa con la fame: con la fame tu capisci che non puoi fare questo lavoro eppure lo fai lo stesso e ti appassiona e allora sei più attento, più curato, mentre se è tutto facile, chi se ne frega, non c’è gusto.

OD: Tutto facile oggi non è, parliamoci chiaro; i tuoi erano tempi in cui le difficoltà erano diverse, ma forse c’erano più possibilità, no?

RB: Non solo, si guadagnava pure bene. Inoltre le nuove tecnologie sono state la fine del fotogiornalismo. Comunque, quando ti capita di fare un servizio importante, devi stare attento a non farti vedere dalle persone: fai pochi scatti e non ti fai vedere se no arriva un altro che fa le tue stesse foto e ti ha fregato il servizio.

OD: Tu allora sei fregato perché ti conoscono tutti.

RB: Io faccio i depistaggi; cambia il mondo? E allora devo cambiare pure io!

OD: La tua foto migliore?

RB: Devo farla. Per me tutti i giorni è la foto più bella, però cambia, cambia, cambia, perché? Perché ho ancora voglia di fare qualcosa di diverso . Oggi non metti niente di tuo, di abilità, scatti e basta.

OD: Quindi vuoi dire che una tua foto non ha niente di tua abilità?

RB: No, oggi non c’è abilità. In quelle di prima sì.

OD: No, parlo delle foto che fai adesso.

RB: No, niente, sono foto senza cuore. Becchi due persone vicine, fai uno scatto, è una presa per i fondelli, dai, non c’è niente; il personaggio non è come una volta, che era più gentile, aveva fiducia nel suo fotografo, oggi no, oggi la produzione impone dei vincoli di marketing pubblicitario, è tutto money, money, money, money e a te rimane che cosa? Niente.

OD: La foto che rimpiangi di non aver fatto

RB:Tante. Sono quelle cose facili che tu non fai perché pensi che non interessino e poi dopo due giorni salta fuori che quel personaggio ha avuto una storia importante e quella foto sarebbe stata determinante; però è anche vero che non puoi star sempre in guerra, come fai? Quest’anno mi è capitato James Gandolfini e io mi sono rifiutato di fotografarlo, dicendomi che tanto non me ne sarei fatto nulla di quella foto e lui dopo due giorni è morto d’infarto ed è sono finito su tutti i giornali. Io di solito faccio tutto, ma inevitabilmente qualcosa sfugge sempre. Comunque è importante sapere che bisogna essere tranquilli in questo mestiere: se tu sei tranquillo col cervello e non hai problemi, riesci a far delle cose stupende, ma se hai dei problemi, se devi partire, o hai tua madre, tua moglie, tua sorella, tua cugina, questo lavoro non lo puoi fare, ti sfuggono delle cose fondamentali e allora è meglio che cambi mestiere.

OD: Apriamo una piccola parentesi di gossip: tu quindi non hai una famiglia?

RB: Ce l’ho, però io abito per conto mio; io ho una casa con letto a mezza piazza, perché? Perché se viene qualcuno a casa mia, dopo poco let’s go, non c’è posto, io vivo da solo, non voglio rotture di scatole, perché le rotture di scatole portano problemi e dopo non riesco ad avere la tranquillità professionale. Questa è la mia vita, non è uguale a quella di tutti e anzi, consiglio agli altri di farsi famiglia, che è la cosa più importante, io però la mia vita la scelgo così che sto benissimo.

OD: Non hai rimpianti?

RB: Rimpiango di non aver vent’anni di meno

OD: Il tuo personaggio preferito da fotografare?

Era John Wayne. Poi ce ne sono anche altri: Tony Curtis, Sofia Loren, Claudia Cardinale, Brigitte Bardot, Ava Gardner, Claudia Schiffer.

OD: Beh con Claudia Schiffer ci sono stati anche problemi…

RB: Ah, sì! Comunque bellissima scena: lei era arrabbiata perché io le avevo detto che aveva la cellulite (che poi era anche vero) e la sua guardia del corpo, dal Bolognese, mi ha tirato addosso il secchiello del ghiaccio.

OD: Tu sei andato al pronto soccorso un numero innumerevole di volte per via dei tuoi scatti ma una sra invece sei finito in ospedale per aver difeso una ragazza da un’aggressione…

RB: Quaranta giorni di ospedale mi sono fatto quella volta: una ragazza che veniva picchiata dal fidanzato, strillava e chiedeva aiuto e io ho chiamato la polizia ma nel frattempo il fidanzato mi ha gonfiato di botte: va beh, è la vita. Comunque ti ripeto che questo è un lavoro che secondo me, per come si sta facendo oggi, è finito.

OD: Però è in contraddizione con quello che hai detto prima quando ti ho domandato se ci saranno degli eredi della vostra generazione di paparazzi e tu mi hai risposto di sì.

RB: No, non è in contraddizione, io credo che ci saranno, ma c’è un “ma”: devono cambiare mentalità ed educazione, si deve studiare giornalismo, capire l’importanza dell’immagine.

OD: Questo è un fenomeno solo italiano e all’estero sono più preparati?

RB: All’estero hanno cominciato prima ma in realtà ci sono grandi fotografi anche qui, e i fotografi più importanti stanno nelle agenzie importanti, nei settimanali importanti; qualcuno c’è, ma il punto è che i fotografi sono migliaia, persino i figli dei personaggi fanno i fotografi, la mia badante, se ce l’ho, oggi come oggi fa pure lei la fotografa. I giornali ad esempio, oggi non pagano se non una miseria e perché? Perché hanno una fortissima offerta.

OD: Anche il giornale per cui lavori tu è così.

RB: Sì però se hai un servizio esclusivo, non ti strapagano, certo, ma l’esclusività te la pagano. Viviamo in una giungla di immagini, è tutto troppo veloce, non si controlla più niente e se vuoi emergere devi fare delle cose diverse dagli altri.

OD: La tua giornata tipo?

RB: Esco la mattina, mi faccio il giro di alberghi e ristoranti, so quello che sta succedendo e scelgo delle cose dove non c’è concorrenza, perché la concorrenza ti fa perder tempo. Se posso darti un consiglio evita la concorrenza, fai delle cose diverse, anche delle stupidate però create con abilità, con la testa. Tieni sempre presente che rispetto ai miei tempi il mondo è cambiato.

OD: Ti manca quel mondo?

RB: Mi devo abituare, senza starci troppo a pensare perché se penso soffro e non faccio più le cose, invece devo continuare ma facendo cose diverse. Mi trovo comunque bene, però le chiamo foto senza cuore.

OD: Il tuo archivio: hai un’idea ci cosa ne farai?

RB: Nel mio archivio c’è tutto: papi, cronaca, politica, dolce vita. Per ora non posso venderlo, è vincolato dal governo italiano; dei russi mi hanno offerto una barcata di soldi, ma… Faccio mostre, questo sì, però ho molti inediti che rimangono nel cassetto. Intanto sto archiviando, e sto cercando solo negativi perfetti e mi piace molto il lavoro d’archivio.

L’intervista è praticamente finita, io sto per mettere in borsa il registratore ma Barillari mi guarda e mi dice: “comunque chiariamo una cosa: il paparazzo non è un delinquente o un teppista, è un fotogiornalista.

Io sto difendendo il nome paparazzo, è stata una scuola di fotografia, hanno fatto di tutto per distruggere il termine e io invece non ne sono solo contento ne sono proprio orgoglioso.”

Mentre mi dice quest’ultima cosa mi vengono in mente molti suoi scatti che hanno fatto il giro del mondo e fra me e me penso: come darti torto, caro Rino?


Monica Cillario per "Osservatorio Digitale" - Dicembre 2013

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